Nanda Vigo: la luce come materia

Nanda Vigo: la luce come materia

Non l’ho mai confessato prima, ma la mia carriera artistica l’ho cominciata facendo l’attrice, e comunque mi interessava solo per poter avere il mio nome scritto con il neon sulle locandine luminose, magari come Marylin Monroe. […] 1

Così Nanda Vigo si presenta in una lettera illustrata a Ramona Loda nel 1979, quasi a voler far intendere che la “passione” per la luce è sempre stata presente nella sua vita.

Nanda Vigo, nasce a Milano nel 1936 da una famiglia di origine austro – ungariche e sin in da bambina dimostra una passione per l’arte. Ha la possibilità di passare del tempo con Francesco De Pisis, un caro amico di famiglia. Conosce l’architettura di Giuseppe Terragni, per precisione la Casa del Fascio a Como, all’età di circa 6 anni, durante una delle passeggiate che faceva insieme alla famiglia mentre era sfollata a Moltrasio durante la guerra. Di Terragni apprezza l’utilizzo del vetrocemento, i giochi di luce che si venivano a creare le rimasero impressi, per lei è stato “come scoprire ‘lo spazio’, un mondo di possibilità”. La luce, con il senno di poi, sarà l’elemento caratterizzante delle sue opere, sarà il fulcro delle sue ricerche.

Studia architettura al Politechnique di Losanna, in Svizzera, in quanto il suo obbiettivo, sin da bambina, era quello di vivere “il sogno americano”. Successivamente frequenta, per un breve periodo, la scuola di Wright. Figlia degli anni ’50, anni di lenta ripresa dopo la seconda guerra mondiale, si ritrova ad avere contatti con gli artisti tra i più importanti dell’epoca come Piero Manzoni e Lucio Fontana.

La sua ricerca si muove alla ricerca di un’integrazione delle arti, cosa che non ha ritrovato e riscontrato nelle esperienze di studio fatte al di fuori dell’Italia. Pertanto, tra il 1958 e il 1959 tornerà in Italia, più precisamente a Milano, dove entrerà in contatto con artisti che hanno fatto la storia dell’arte contemporanea italiana ed europea.

Gli anni ’60 sono stati per l’arte, l’architettura e il design, anni di grande cambiamento e di una produzione creatrice che mirava a fare qualcosa di nuovo. L’avvento di gruppi e riviste

hanno indirizzato l’attenzione su dettagli quasi inesplorati nell’arte. Il Gruppo Zero, al quale aderirà e ne condividerà gli ideali che mirano a ripartire da un qualcosa di nuovo, la creazione del Gruppo T, il Gruppo N e la rivista “Azimuth” di Piero Manzoni ed Enrico Castellani alla quale lei è molto vicina anche grazie alla breve relazione avuta con lo stesso Manzoni. Ognuno di questi gruppi indagherà sul concetto del tempo, dell’aspetto psicologico dell’arte, saranno i gruppi che andranno a creare poi la corrente dell’Arte Programmata.

In questo periodo di forte mutamento Nanda Vigo, a partire dal 1959 circa, prepara il suo studio basato sugli effetti della luce, il quale darà vita ad una serie di oggetti artistici che chiamerà Cronotopi. La luce, è il principale elemento trattato nelle sue ricerche, non lo abbandonerà mai, ne muterà le sembianze e le applicazioni. Il neon e le superfici riflettenti saranno la caratteristica principale di tutta la sua produzione artistica e architettonica.

Lavorerà nello studio di Lucio Fontana, iniziando come braccio destro, come “ragazzo di bottega”, fino poi a collaborarci in occasione della Triennale del 1964. Conoscerà Giò Ponti il quale, nonostante la differenza di età, comunque ha stima della giovane Vigo affidandole incarichi molto importanti come la realizzazione della Casa sotto la foglia a Malo nel 1968.

Nanda Vigo approccerà anche al mondo del design, avviando diverse collaborazioni con società che producevano oggetti di arredamento di interni e di design, nei quali inserirà neon e i suoi amati Cronotopi. Gli anni ‘70 in Italia sono stati importanti per questo campo, il quale assume un aspetto e una dignità nuova, l’industria si rinnova e viene incrementata la produzione di oggetti per gli interni che assumono sembianze nuove. Si tratta dello scenario nel quale si muovono Alchimia e Memphis, gruppi diretti da Ettore Sottass e Alessandro Mendini, che ripensano il modo di progettare e attribuiscono un nuovo valore a elementi come il colore e la decorazione.

Tra gli anni ’70 e ’80 approfondirà il concetto di cronotopia, creando nuovi progetti sempre improntati sul concetto di luce e spazio. Darà vita ai Light Project, i Deep Space, Exoteric Gate, i Trigger of the space e molti altri. Inoltre, negli anni ’80 approccia ad una ricerca esoterica compiendo alcuni viaggi in Africa, India e Tibet.

Nanda Vigo, in tutta la sua carriera da artista, architetto e designer, si pone verso la ricerca di una totale integrazione delle arti, senza fare distinzioni di materia. Ha continuato a lavorare sulla modulazione e dissoluzione della luce e ribadisce costantemente come la luce sia in grado di alterare le dimensioni, le percezioni di chi osserva e lo spazio. Il suo obiettivo resta quello di andare oltre la tecnica per sviluppare i concetti più immateriali, con lo scopo di annullare l’idea di una materia tangibile e totalmente comprensibile. Mira al raggiungimento di un ideale di natura sia psicologica che filosofica, andando a suscitare sensazioni e percezioni in chi osserva.

La sua ricerca artistica esalta il lavoro sullo spazio che unisce in tutte le sue opere con giochi di riflessi di luce, di trasparenze e superfici che vanno dal peluche, utilizzato su oggetti di design (sedute, poltrone, scale) a laminati riflettenti.

Una volta dentro i suoi progetti, architettonici e artistici, dobbiamo agire per muoverci all’interno.

Nanda Vigo si è spenta a Milano il 16 maggio 2020.

1 Ramona Loda, Nanda Vigo: “Frammenti di riflessione”, 1979, in Nanda Vigo. Light Project, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2019, p.220

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