FUORI

La Quadriennale di Roma a Palazzo delle Esposizioni.

Un progetto avviato tre anni fa, quando Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol vennero chiamati per curare la nuova edizione della Quadriennale di Roma. Sono entrati in contatto con diversi artisti, dei quali ne sono stati selezionati 43 ad esporre nei 4000 metri quadri del Palazzo delle Esposizioni. La mostra appare con un allestimento rigoroso e ben strutturato, firmato dall’architetto Alessandro Bava.

“Il titolo FUORI è un invito a sporgersi, ad assumere una posizione eccentrica – fuori dal centro – e una postura inclinata, di una mutua relazione con l’altro da sé. FUORI risponde alla necessità primaria di uscire dalle restrizioni fisiche e metaforiche imposte a tutti noi nei primi mesi del 2020. FUORI! è stato il nome della prima associazione per i diritti omosessuali, formatosi agli inizi degli anni Settanta e che con i gruppi femministi e transessuali ha portato avanti in Italia le rivendicazioni dei diritti per una società più equa.”

Così presentano la mostra i due curatori, i quali hanno voluto fare un excursus dell’arte italiana dagli anni Sessanta ad oggi, inserendo percorsi poco presenti nelle narrazioni tradizionali affiancandole a realtà contemporanee e giovani. Specificano come il progetto sia partito non solo da uno studio sulla storia della Quadriennale e del palazzo, ma anche dal principio di ‘saperi situati’ della filosofa Donna Haraway. Importante il sorpasso dei limiti tra discipline e medium ma anche di sesso e di genere per accogliere tra le sue sale immaginari femminili, femministi e queer. Il percorso si presenta chiaro e direzionato, suggerito anche da una mappa fornita gratuitamente all’ingresso. La prima sala, ospita le opere di Cinzia Ruggeri, stilista e artista che ha condotto un’indagine sul confine tra gioco e sperimentazione, funzionalità e decoro. Proseguendo si arriva in un corridoio dall’aspetto etereo e rassicurante, grazie all’opera Bleau Carnac (1992) di Irma Blank posto lungo le parete laterali, che con il suo Urzeichen, il segno primordiale, ci fa entrare nel suo rituale di ripetizione. Al centro della sala Stone Broken Circuit (2016) di Micol Assaël; un circuito elettrico aperto, di bachelite e disseminato di piccoli cubi di marmo. A seguire veniamo accolti dalle serie fotografiche di Lisetta Carmi ErotismoAutoritarismo a Staglieno (1966) e Parto (1968). Si concentra su momenti ritenuti ‘osceni’, come appunto il parto, e si interroga sullo sguardo patriarcale che orienta la rappresentazione della donna nei gruppi di sculture funebri di fine Ottocento. Segue Nanda Vigo, che unisce l’immaterialità dei riflessi e della luce e le solide forme geometriche per aprire una porta verso un’altra dimensione. Con Exoteric Gate (1976) vuole creare stimoli sensoriali tramite l’utilizzo di materiali industriali e la creazione di spazialità.

Nando Vigo, Exoteric Gate (1976)

Da vedere il film girato dentro la Casa del Fascio di G.Terragni a Como, di Diego Marcon, Monelle (2017), in cui fa da sovrano il buio e gli effetti psichedelici a ritmo di immagini lampo che appaiono su di un grosso schermo; così come il film di Monica Bonvicini No Head Man (2009) con cui esplora il legame tra violenza e architettura. Sue sono anche le gabbie di 3rd Act/Never Die for Love (2019), prodotte per il terzo atto della Turandot, e al loro interno si svolge la performance Give Me the Pleasure (2019), tratta dall’opera di Puccini di cui rimane la traccia sonora nella sala espositiva. Suggestive le sculture e i disegni di Lydia Silvestri che rappresentano elementi erotici del corpo come seni, peni e glutei per poi fonderli in nuove forme. In un’unica sala troviamo Raffaela Naldi Rossano con We Are the Granddaughters of the Witches You Were Never Able to Burn (2019), scritta scomposta sul pavimento , frase manifesto che racconta di resilienza e riscatto; A Liquid Confession (2019), un’acquasantiera riempita di limoni tagliati e ricuciti dall’artista. In coesistenza, il trittico dipinto da Diego Gualandris, Edera (2020) e Chiara Camoni, che ha realizzato Senza titolo (una tenda) (2019), una serie di teli in seta su cui l’artista ha stampato immagini floreali utilizzando le proprietà tintoree di piante ed erbe ed infine  Kabira (2019). Per quanto riguarda la sala dedicata interamente al collettivo TOMBOYS DON’T CRY, troviamo dodici artistǝ italianǝ ed internazionali che indagano su una fisicità a tratti scomposta e mediata dal linguaggio , dalle emozioni e dalla voglia di descriversi.

Monica Bonivicini, 3rd Act/Never Die for Love (2019)

Prendendo il grande scalone che porta al secondo piano, veniamo sopraffatti dai grandi fiori di stoffa realizzati da Petrit Halilaj e Alvaro Urbano come progetto che racconta la storia, anche personale, tra i due artisti. I quattro fiori animano il percorso della mostra di cui i dettagli si fanno sempre più chiari man mano che si salgono i gradini. Al secondo piano ci accoglie un’opera di Francesco Gennari, Tre colori per presentarmi al mondo, la mattina (2013), una scultura in vetro di murano fuso a mano in cui la materia è concetto. Sua è anche la serie Autoritratto su menta (con camicia bianca) (2018-20). Macabra ci appare l’installazione ambientale e sonora di Benni Bossetto, Anima (2020); la stanza appare come una rovina, con la carta da parati strappata che fa intravedere dei bozzetti preesistenti, le travi di legno fanno da quinta a grovigli di sculture in ceramica che rimandano a organismi e organi aggrovigliati. Giuseppe Gabellone con Falsa Finestra (2020), due lavori di grandi dimensioni si inseriscono nella ricerca sui bassorilievi già iniziata nei primi anni duemila. L’ultima parte del secondo piano è dedicata a Salvo il quale si rivolge alla storia dell’arte e all’iconografia classica ma con un’influenza psichedelica. Arrivando al secondo scalone, per tornare al piano padronale, il murale di Amedeo Polazzo realizzato con colori diluiti in acqua destinato ad essere cancellato a fine della mostra, ma non dalla storia del palazzo.

Petrit Halilaj e Alvaro Urbano

L’ultima parte di Fuori è anche la più fantasiosa; a partire da Capitan Fragolone (2020) di Valerio Nicolai, un’enorme fragola che, in occasione di eventi, ospita al suo interno un pirata che osserva immobile i visitatori, visibile da fuori grazie a dei fori sulla struttura. Una sala intera viene dedicata all’artista e compositore Sylvano Bussotti: viene presentata una selezione di opere, costumi di scena e materiali provenienti dall’Archivio Ricordi di Milano. Infine, la sala dell’artista Maurizio Vetrugno è dedicata al collezionismo e raccoglie gioielli di alta moda, fotografie, copertine di dischi, e tessuti dai colori vivaci. Racchiudere tutta la Quadriennale di Roma e gli artisti in mostra in un solo articolo è riduttivo e quasi impossibile. La mostra si presenta ben organizzata e strutturata, la presenza e la conferma di grandi Artisti a tratti nasconde gli emergenti che meriterebbero forse più spazio. L’ingresso, per fasce orarie, è consentito solo su prenotazione tramite il sito web di Coopculture. Per vedere la lista completa degli Artisti potete visitare https://www.palazzoesposizioni.it/mostra/quadriennale-darte-2020-fuori. Foto di Giulia Belfiori Foto in evidenza https://quadriennale2020.com/

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