La creazione di reef artificiali, causati da naufragi o volontariamente, sono di aiuto per l’ecosistema e lo studio dello stesso.
Tutti almeno una volta abbiamo visto qualche documentario o film su naufragi di imbarcazioni, primo su tutti Titanic, il colossal di James Cameron che ha lanciato al mondo il grande Leonardo Di Caprio; sul fondo degli oceani giacciono resti di mercantili, galeoni e navi di ogni sorta completamente ricoperti di alghe e coralli, pesci di ogni sorta e magari anche qualche squalo.
Non serve spingersi in chissà quale oceano sperduto per andare a vedere scene di questo tipo, anche in Italia infatti abbiamo paesaggi del genere, uno dei più famosi è probabilmente il relitto della Elviscot al largo delle coste dell’Isola D’Elba. Questo infatti era un piccolo mercantile costruito nel 1960 in un cantiere olandese e diventato proprietà di un’azienda napoletana che lo utilizzava come trasporto per il legname.
Purtroppo nel 1972, mentre era diretto a Marsiglia, a causa del maltempo colpì alcuni scogli di fronte al comune di Marciana, più precisamente nella frazione di Pomonte. Lo scafo non resse all’impatto e si squarciò: una parte affondò mentre un’altra fu recuperata e portata via perché ritenuta pericolosa a causa della vicinanza con la costa. Da allora quello che ne rimane giace a circa 12 metri di profondità e dal momento stesso in cui ha toccato il fondale sabbioso è diventato quello che in ecologia marina viene detto “artificial reef” ovvero una struttura sommersa costruita dall’uomo e suscettibile alla colonizzazione da parte degli organismi marini, che viene detta “fouling”.
Adesso infatti il relitto è meta di turismo da parte di sub da tutto il mondo perché ospita un bellissimo e suggestivo ecosistema dove è facile incontrare saraghi, occhiate, donzelle ma anche murene, gronghi e tantissimi altri pesci e animali all’interno di una suggestiva location da film.
Eppure le artificial reef non sono sempre casuali ma anzi, da molti anni a questa parte sono stati inseriti nei mari e negli oceani di tutto il mondo numerosi oggetti di costruzione umana con il solo scopo di monitorare attentamente gli sviluppi degli ecosistemi acquatici e carpirne meglio i loro segreti a partire proprio dal punto zero.
La cosa interessante è che in questo genere di esperimenti, diffusi veramente in tutti il mondo e di cui l’Italia e tra i paesi che ne ha condotti di più in Europa, viene utilizzato veramente di tutto. Il primo di questi esperimenti nel nostro paese fu tentato con successo nel 1970 in Liguria dove gli scheletri di 1300 automobili vennero calati in mare con lo scopo di risollevare la pesca locale.
Al largo delle coste di New York invece, per risanare i danni fatti dall’uomo alla barriera corallina, sono stati puliti e immersi in acqua dei vecchi vagoni della metropolitana ormai in disuso che serviranno da substrato per gli organismi colonizzatori, mentre l’Australia ha affondato numerose navi da guerra per questo scopo.
Un altro esempio di eccellenza italiana è stato realizzato a Fregene dove, in uno studio durato molti anni, sono stati calati a largo delle coste laziali dei blocchi di cemento forato che sono state poi attentamente monitorate per studiare le successioni di organismi nel corso dei decenni ed avere cosi una visione dettagliata di fenomeni che altrimenti sarebbero molto difficili da conoscere o da studiare in laboratorio.
Questi sono solo alcuni dei numerosissimi esempi di cui questa disciplina è piena e se lo sfruttamento degli stock ittici continuerà in maniera esagerata e il cambiamento climatico continuerà a minacciare le barriere coralline attualmente presenti sarà necessario trovare sempre soluzioni più simili a queste. È fondamentale quindi continuare a investire in questa tipologia di progetti per aumentare la nostra conoscenza sui fenomeni che riguardano i nostri mari ma è ancora più importante investire nella loro protezione.
Foto di Francesco Simonetta
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