La specie che è stata praticamente portata sull’orlo dell’estinzione nel nostro territorio e che al giorno d’oggi è al centro di un programma di eintroduzione che pare stia dando i suoi frutti.
Altre volte ci siamo trovati a parlare di specie a rischio di estinzione e di specie aliene che si trovano sul nostro territorio che rischiano di soppiantare quelle autoctone. Invece, la specie di oggi, ha una storia diversa.
Stiamo parlando dell’Ibis eremita (Geronticus eremita); un uccello di medie dimensioni dall’aspetto
inconfondibile.
Come si riconosce?
Ha un piumaggio nero con dei riflessi metallici di color verde, violetto e rossastri sulle ali.
La testa è la parte caratteristica: il volto e la gola sono privi di piume, una pelle rosa e rugosa e un becco lungo circa tre volte la testa e ricurvo verso il basso che utilizza per scovare insetti e altri invertebrati di cui si nutre estraendoli dal terreno.
Perchè è a rischio di estinzione?
Secondo la IUCN Red List, Lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, il più ampio database sulla conservazione delle specie, l’Ibis eremita è in pericolo critico di estinzione.
Sembra che il suo declino abbia origini molto antiche, dovute soprattutto al prelievo dei nidiacei che nel Rinascimento erano considerati una prelibatezza. Infatti, nel 1504, l’allora arcivescovo di Salisburgo Leonhard von Keutschach ne limitò la cattura ai soli nobili.
La misura non funzionò perché tempo dopo l’Ibis si estinse in Austria. Questo lo rende uno dei primissimi ad essere stato protetto con strategie che ricordano quelle contemporanee.
In tempi più moderni, alla caccia, si sono poi aggiunti la distruzione di habitat, inquinamento da fitofarmaci e disturbo delle rotte migratorie che hanno portato al collasso della popolazione europea e lasciando popolazioni solo in Siria e Marocco.
Cosa è il Walldrappteam?
Attualmente l’Unione Europea ha stanziato fondi per un progetto di reintroduzione guidato da un gruppo di ricercatori austriaci, italiani e tedeschi chiamato Walldrappteam. In questo progetto gli ornitologi hanno allevato in delle colonie dipendenti dall’uomo numerosi esemplari all’interno dei siti riproduttivi posti a Burghausen in Baviera e Kchul in Austria.
Successivamente, annualmente, sono stati scelti alcuni giovani che, essendo stati allevati da genitori in cattività, non potevano avere appreso le rotte migratorie dai genitori. Difatti le specie giovani sono stati guidati da dei mezzi ultraleggeri attraverso una rotta che li ha condotti fino in Toscana, nella laguna di Orbetello per lo svernamento. Lo scopo era quello di far si che poi si riuscisse a creare una colonia indipendente dall’uomo e riproduttiva e che fosse in grado di trasmettere le conoscenze migratorie alla prole.
Fortunatamente nel 2011 c’è stata la prima migrazione senza l’ausilio dell’uomo.
Ognuno di questi esemplari è inoltre dotato di un anello identificativo e di uno zainetto GPS che ne permette la localizzazione in qualunque momento. Questo si è rivelato utile anche per tracciare i casi di bracconaggio che purtroppo ancora oggi minacciano questa specie.
Nel 2012, proprio grazie al GPS sono riusciti a risalire ad un cacciatore che aveva abbattuto un esemplare e verso il quale sono stati avviati procedimenti civili.
Il progetto è ancora all’attivo, non sappiamo come andrà anche se i primi dati sono promettenti. E’ facile vederli in inverno presso i campi di Orbetello, anche purtroppo a causa della mancanza di paura nei confronti dell’uomo. La dovuta provenienza dalla cattività potrebbe comportare un altro fattore di rischio per i motivi elencati sopra.
Foto di Francesco Simonetta – https://rb.gy/ilxpdf
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